Il pianto è un mezzo attraverso il quale un bambino comunica, anche dopo che impara a parlare. Ma è sempre segno di bisogno reale? O può essere solo un capriccio? Gli anziani consigliano sempre di lasciar piangere i bambini perchè fa aprire i polmoni… Ma è veramente così? Come bisogna intervenire? Come deve comportarsi un genitore per non apparire troppo esagerato?
Un genitore sa riconoscere il pianto del proprio figlio
Affrontare il momento in cui un figlio, soprattutto se neonato e non parla, inizia a piangere è per il genitore una criticità: bisogna comprendere ed interpretare cosa il piccolo vorrebbe comunicare. Si potrebbe trattare di un malessere, di un bisogno fisiologico o psicologico, o solamente, potrebbe essere un capriccio. Un genitore attento impara a comprendere la differenza del pianto del figlio. Sa riconoscere un pianto di dolore, che stringe il cuore, da un pianto lagnoso e capriccioso. Bisogna quindi imparare, anche, a reagire in modo differente a seconda della motivazione del pianto.
I primi mesi di vita di un bambino sono un susseguirsi di pianti. Il neonato in questo modo comunica tutto: dagli stimoli fisiologici e i disagi fisici, ai bisogno psicologici (il contatto con un genitore). Crescendo, però, i bisogni e le cause del pianto si modificano, subentrano ansia e paura e… aumentano i capricci. Allora cosa fare?
Le diverse reazioni al pianto del figlio: lasciarli piangere o no?
La domanda più frequente dei genitori, a questo proposito, è se sia giusto o meno lasciarli piangere. Non esiste una risposta certa. In certe situazioni, il bambino va lasciato un pò piangere prima di intervenire. Lasciare che il bimbo si tranquillizzi da solo, in situazioni non pericolose (ad esempio di notte piange perchè vuole dormire nel lettone), serve a dimostrargli che è forte, che può farcela anche da solo. Questo aiuta a sviluppare anche l’autostima! Ovviamente, questa teoria può essere applicata a bambini che iniziano ad intraprendere il percorso di autonomia (a partire dai 18/24 mesi). Bisogna comunque tener presente che se il pianto del bambino è dato da un malessere o un bisogno serio occorre intervenire!
La comunicazione come soluzione al problema
La comunicazione con i bambini, da quando iniziano a prendere confidenza con le parole, è fondamentale. Per questo motivo se un bambino di 3/4 anni in su piange, il genitore deve guardarlo negli occhi e chiedere il motivo del pianto. In questo modo il bambino prende sicurezza in se stesso e nei genitori, capendo che a volte piangere non serve! Con questo, ovviamente,non si intende che ad ogni minimo accenno di pianto bisogna scattare sull’attenti. Bisogno intervenire in base alla gravità: un bambino di 4 anni piange perché non vuole dormire da solo… il genitore deve farlo sentire tranquillo, fargli sentire che è presente, che è li con lui ma senza correre. Basta chiamarlo, sentire che un genitore dice il suo nome non lo fa sentire solo.
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