Il concetto del tempo per un bambino non è assolutamente come quello di un adulto. Ma quant’è importante raggiungere una consapevolezza temporale per lo sviluppo del piccolo?
Concepire il tempo: concetto oggettivo e soggettivo
Il tempo è un concetto tanto astratto quanto reale da poter essere concepito in 2 differenti modi: un soggettivo ed un oggettivo. Questo approcciarsi al tempo che passa riguarda il bambino ma anche l’adulto, perché, come vedremo in seguito la scansione del tempo inciderà molto sullo sviluppo della persona.
Il tempo oggettivo è quello che noi “calcoliamo” su scale convenzionali (minuti, ore, giorni, mesi ecc…). Il tempo soggettivo, invece, è quello che si percepisce, riguarda soprattutto la consapevolezza del trascorrere del tempo relativamente alla persona ed agli aspetti più affettivi. La concezione soggettiva del tempo, dunque, è fondata su una percezione soggettiva e quindi inadeguata rispetto al pensiero logico.
Questo concetto e queste visioni del tempo sono spesso state argomento di studio e ricerca da parte di molti esperti, soprattutto riguardo la relazione tempo-sviluppo-bambino.
Parlano gli esperti
Molti sono stati gli esperti che hanno conseguito studi sulla concezione e consapevolezza del trascorrere del tempo da parte del bambino. Partendo da Piaget, colui che fu tra i pionieri dello studio relativo allo sviluppo della nozione di tempo nel bambino (1946).
Secondo Piaget il bambino approccia per la prima volta all’idea di tempo, già nel periodo senso-motorio. In questo momento il piccolo fa una scansione molto personale del tempo utilizzando come “unità di misura” le attività che svolge. Tale concetto si insinua e sviluppa nel bambino parallelamente all’idea di spazio e casualità.
Sempre secondo Piaget il concetto più logico e concreto di scansione del tempo si inizia a raggiungere intorno ai 6/8 anni, mentre prima (4/5 anni) tale visione è un concetto assai remoto.
Anche Friedman pone delle attenzioni riguardo tale argomento, accogliendo delle ulteriori sfumature rispetto alla teoria di Piaget. Friedman sostiene che il bambino, anche prima dei 6/8 anni è in grado di cogliere la ciclicità del tempo, scandendolo con eventi ricorrenti di importanza generica (Natale, compleanno, ed altre ricorrenze dettate). Secondo tale teoria, già tra i 4 e gli 8 anni, il bambino manifesta delle competenze temporali derivanti però da ricordi, collegate quindi al vissuto, ricreando quindi le dimensioni del passato.
Il passato: quanto conta la sua percezione e quanto influisce sul futuro e sullo sviluppo del bambino
Il passato, come spiega Friedman, è un concetto che nel bambino si realizza tra i 4 e gli 8 anni e che si realizza partendo dal vissuto del piccolo. Questa visione permette di ricostruire un proprio percorso, la propria storia, che crescendo influenzerà il futuro. Tale teoria è stati ripresa anche da Nelson, il quale sosteneva che i diversi tipi di ricordi rimandano a forme different di memoria. Si tratta, quindi, di aspetti soggettivi, una percezione personale del proprio vissuto che permettono la realizzazione del tempo in termini poi oggettivi.
La ricreazione di una dimensione temporale, partendo da queste basi, è una stimolazione per le attività mentali. Stimolare la ricostruzione del ricordo aiuta sia a mantenere una mente elastica, ma soprattutto a porre le basi per la costruzione della propria identità. Questo è ciò che accade soprattutto durante l’adolescenza. In questo delicato momento della vita di una persona, il ragazzo è posto difronte a diverse scelte di vita, anche importanti, come gli studi.
Molti adolescenti che lasciano il percorso scolastico, infatti, basano la loro decisione sul loro passato scolastico privo di gratificazioni scolastiche. Queste “mancanze” creano nel loro vissuto il concetto spazio temporale del “qui e ora”, preferendo attività che portano una gratificazione immediata, piuttosto che fare dei sacrifici cercando di costruire il proprio futuro. Tale comportamento è dettato anche dalla mancanza di prospettive future.